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Che roba Contessa, quell'89... foto di Paolo Pietrangeli

Che roba Contessa, quell’89…

di Paolo
Pietrangeli

di Paolo Pietrangeli

Se mi volto indietro vedo e mi immergo in un gran (per via dell’età) minestrone in cui non si distinguono le patate dai fagiolini, la verza dalle zucchine e le carote da una qualunque altra verdura arancione che adesso non mi viene in mente. In questi mesi ho dovuto rispondere a decine di interviste sul 1968 e cominciavo sempre nello stesso modo: “Non mi ricordo”. Poi raccontavo sopra i ricordi degli altri che piano piano aprivano la scatola del minestrone e facevano riaffiorare emozioni e persone che uscivano  e che mi costringevano a ricordare quanto a quelle persone avessi voluto bene e come su quelle emozioni io avessi costruito una vita senza ricordi ma non totalmente disprezzabile per le scelte fatte, per le cose realizzate (senza esagerare).

Vi scrivo questa lettera perché qualsiasi altro modo (articolo, saggio, intervento…) mi sembrerebbe tronfio e presuntuoso perché io non ho niente da dire dal basso del  mio “non-ricordo” su nessuna data, figuriamoci sul 1989 che, a naso, deve essere stato un anno orribile. O no?

Dal minestrone sono usciti il campionato della Roma di Radice e di Voeller, costretta a giocare le sue partite casalinghe al Flaminio e non è stata una brutta verdura e la vittoria al festival di Sanremo di Fausto Leali e Anna Oxa, un ortaggio dal sapore amaro, non perché avessi nulla contro Sanremo ma perché dal sottovuoto della buatta del minestrone è uscita una dichiarazione di un anticomunismo assoluto rilasciata da Anna Oxa.

Da quella apertura, come il botulino, è uscita piazza Tienanmen con la foto di quell’uomo di fronte a un carro armato dell’esercito cinese ed è stato come se i colpi sparati in quella piazza e i morti di quelle giornate avessero buttato giù di lì a poco il muro di Berlino. Crolla il muro detestabile e cominciano a crollare tante certezze. Mi ricordo e a questo punto lo dico con precisione, di essermi sentito come un bambino di un riformatorio o un detenuto da un numero infinito di anni cui un bombardamento ha sbriciolato il riformatorio e il carcere. Contento per la fine di una costrizione, per me mentale, per tanti anche fisica ma spaventato,  senza più protezione, appoggio o riparo. E quando Occhetto ha celebrato la fine del Partito Comunista Italiano allo spavento si è aggiunto anche un dolore acuto al centro del petto: per anni avevo detto e sono ancora convinto che i comunisti italiani fossero un’altra cosa, con un’altra storia e un’altra grandezza di pensiero e di tradizione che mi permettono oggi di fronte alla domanda: “Sei comunista?” di rispondere di sì.

E da quel giorno è come se una parte di pensiero che avevo delegato ad altri che ne sapevano più di me mi fosse piombata completamente addosso, costringendomi a fare tutto da solo e spesso l’orfano o il carcerato non sanno annaspano si confondono sbagliano e devono ricominciare daccapo.

E sono vecchio.

E il minestrone non mi è mai piaciuto, le verdure nere si impigliano tra i denti.

Ciao.