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Nuovo parlamento allarmato fra crescita di export militare e crisi umanitarie

di Tommaso
Chiti

di Tommaso Chiti – La vicenda del mercantile Bahri Yanbu della flotta saudita, le cui operazioni di carico di materiali bellici sono state recentemente osteggiate in più porti europei, ha riaperto la questione degli armamenti venduti a paesi in guerra.

L’Arabia Saudita infatti da diversi anni è direttamente coinvolta nel conflitto in Yemen, che ha già causato migliaia di morti e centinaia di migliaia di sfollati, dove Ryahd è schierata a fianco della coalizione militare pro-governativa.

La pubblicazione di alcune foto dalla pancia della nave ha reso noto come la stiva sia infatti carica di carri armati e mezzi corazzati mimetizzati per il deserto e missili teleguidati, come quelli già utilizzati nella guerra civile in Yemen, imbarcati forse nel porto di Anversa.

A Le Havre invece un centinaio di manifestanti del gruppo cristiano per l’abolizione della tortura (ACAT) ha protestato contro il rifornimento di ulteriori materiali, denunciando la violazione del diritto internazionale sugli armamenti.
Una settimana fa a Genova sono stati invece i camalli del Collettivo Autonomo, della FILT-CGIL e i pacifisti della Rete Disarmo ad organizzare un presidio di boicottaggio al carico di attrezzature da campo altamente sofisticate.
Nell’UE, che in tempi di crisi economica e tensioni nazionaliste rispolvera il suo retaggio pacificatore fra gli stati del continente, è paradossale l’atteggiamento lassista dei governi rispetto alle forniture militari a paesi in guerra, fra le prime cause dell’emigrazione di massa di molti profughi verso l’Europa.

Al di là delle more previste dal trattato ATT, le questioni militari restano di stretta competenza nazionale e così gli stati membri dell’Unione Europea anche in questo caso vanno in ordine sparso. Mentre tre paesi scandinavi hanno sospeso la vendita a stati in conflitto, specialmente a Ryahd; Spagna e Germania hanno esteso la moratoria per le esportazioni di armamenti; Francia e Gran Bretagna, seguite dall’Italia, continuano questo tipo di traffici anche per mantenere regolari rapporti commerciali ed eventualmente influenzare gli affari della regione.

Il caso italiano è stato aggiornato poche settimane fa con la Relazione governativa sull’export di armamenti riferiti al 2018, che ammontano a 5,2 mld.€, prevalentemente verso destinazioni non UE e fuori anche dalla NATO, fino al 72% delle commesse totali. In questa categoria di clienti si riscontrano in particolare stati in situazioni di tensione come Pakistan (207 milioni), Turchia (162 milioni), Arabia Saudita (108 milioni), Emirati Arabi Uniti (80 milioni), India (54 milioni) ed Egitto (31 milioni).

Le aziende ai vertici della classifica per licenze ricevute sono Leonardo (con oltre 3,2 miliardi autorizzati), RWM Italia (quasi 300 milioni), MBDA Italia (234 milioni) e Iveco Defence (quasi 200 milioni) seguite poi da Rhenimetall Italia, Fabbrica d’armi Pietro Beretta e Piaggio Aero (tutte con oltre 50 milioni di licenze).

Come riporta l’ultimo studio del SIPRI – Istituto Internazionale sulla Pace a Stoccolma – nel quadro dell’UE il primato per spese militari del 2018 spetta però alla Francia (63mld di dollari, pari al 2,3% della spesa pubblica), seguita a distanza da Gran Bretagna (50mld di dollari, pari all’1,8%) e dalla Germania (49,5 mld di dollari, pari all’1,2%). Anche a causa delle presunte minacce della Russia, negli ultimi anni i paesi dell’Europa occidentale hanno totalizzato spese militari per 266mld di euro, in un contesto globale dove le spese per armamenti sono aumentate del +2,6% rispetto al 2017 e le esportazioni dei maggiori stati membri sono aumentate del +23% negli ultimi quattro anni. Sulla scorta delle spinte al riarmo da parte degli USA nell’ambito della NATO, crescite esponenziali si sono verificate anche nei paesi dell’Europa centro-orientale, come riscontrato da aumenti del +8,9% in Polonia, o dal 18 al 22% in Bulgaria, Romania, Lettonia e Lituania.

Sono proprio le diverse lobby delle armi ad influenzare spesso la geopolitica degli stati membri, condizionando anche le prospettive di una difesa comune a livello europeo; osteggiata non soltanto per le ricadute in termini di perdita di sovranità su certi interessi strategici nazionali, ma soprattutto per l’insormontabile questione della spartizione delle commesse, una volta armonizzate in un piano integrato.
Certi interessi lobbistici finiscono per scontrarsi poi proprio con quella preminenza del diritto internazionale, che dovrebbe in qualche modo scongiurare conflitti armati.

La recente denuncia sulla chiusura di porti e frontiere ai rifugiati, ma non ai traffici di armi, fra le principali cause dell’emigrazione di molti richiedenti asilo, era già stata lanciata nel rapporto ‘Frontiera di guerra.’ dalla ONG Stop Wapehandel e da Transnational Institute nel 2016.

l finanziamento complessivo dell’UE per le misure di sicurezza dei confini degli Stati membri attraverso i principali programmi di finanziamento nel periodo tra il 2004 e il 2020 è di 4,5 miliardi di euro. Frontex, la principale agenzia di controllo delle frontiere, ha visto accrescere il proprio bilancio del 3,7% tra il 2005 e il 2016 portandolo da 6,3 milioni a 239 milioni di euro. L’industria degli armamenti e della sicurezza ha ottenuto anche gran parte dei  finanziamenti di 316 milioni di euro forniti dall’UE per la ricerca in materia di sicurezza.

Il rapporto mostra anche come l’industria della sicurezza e degli armamenti – fra le quali i giganti Thales, Leonardo e Airbus – abbia contribuito a determinare la politica europea sulle frontiere, con attività di
lobby attraverso l’Organizzazione europea per la Sicurezza (EOS). La stessa trasformazione di Frontex in “Guardia costiera e di frontiera europea” (European Border and Coast Guard – EBCG) è frutto di una proposta in senso più militarista da parte di EOS, riscontrata anche nelle ultime dichiarazioni dell’Alto Rappresentante per la PESD Mogherini, per l’aumento del 22% del Fondo Europeo per la Difesa, fino a 13 mld fra il 2021 e il 2027.
Malgrado i divieti imposti dal Trattato sul commercio di armi (ATT) e le risoluzioni del Parlamento Europeo sull’esportazione di armi (n.2018/2157) e sulla situazione in Yemen (ottobre 2018) per l’embargo sulle forniture militari all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, in considerazione delle gravi violazioni del diritto umanitario; molti stati si mostrano del tutto incuranti delle prescrizioni e delle possibili violazioni.
Oltre a richiamare ad un’attuazione uniforme delle normative europee e all’applicazione del principio di precauzione, la risoluzione del PE sulle esportazioni belliche denuncia la violazione di diversi parametri della posizione comune con la concessione di licenze verso l’Arabia Saudita, specialmente per quanto riguarda navi da guerra, aerei da caccia e bombe di varia portata, responsabili del “deterioramento della situazione umanitaria […] e delle attuali sofferenze della popolazione yemenita”.
Le elezioni europee di pochi giorni fa sembrano riprorre maggioranze ‘tradizionali’ nel quadro parlamentare, senza cioè lo sfondamento delle fazioni sovraniste.
Difficilmente però le priorità nazionali e le logiche concorrenziali di mercato anche negli armamenti renderanno agevole l’adozione di un piano unico per la difesa europea, specialmente improntato alla preminenza dell’azione pacificatrice e a moratorie sulle armi per paesi in guerra.
La nuova Commissione Europea, soprattutto dopo la débâcle degli europeisti francesi in favore dei nazionalisti di Le Pen, avrà una trazione politica abbastanza inadeguata a superare gli interessi particolari.
Riguardo al Parlamento Europeo e alla sua capacità di rappresentanza, invece presto i neo-eletti saranno chiamati proprio a votare l’aumento del Fondo Europeo per la Difesa, potendosi esprimere sul rifiuto della proposta della Commissione in questo senso.
Oltre al controllo sulle spese belliche, da migliorare sono soprattutto il ruolo di vigilanza e gli standard di trasparenza sui dati relativi all’export militare, per permettere anche all’opinione pubblica di esercitare un concreto controllo su un ambito così delicato. L’esportazione di materiali di armamento non ha solo aspetti economici o tecnologici, ma impatta direttamente sui conflitti e sulla sicurezza internazionale, con ricadute importanti su politica estera e soprattutto sul rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario.

FONTI:
http://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-8-2018-0335_IT.html?redirect
https://www.reuters.com/article/us-yemen-security-france-arms/amid-outcry-over-yemen-war-saudi-ship-leaves-france-without-arms-cargo-idUSKCN1SG15N
https://www.isw-muenchen.de/2019/05/sipri-registriert-neuen-ruestungs-weltrekord/
https://www.sipri.org/sites/default/files/2019-04/fs_1904_milex_2018_0.pdf
https://www.disarmo.org/rete/docs/5039.pdf